Dal 13 dicembre saranno nuovamente accessibili al pubblico, dopo il necessario riallestimento, tutte le Sale Farnesiane che si trovano ai piani alti del Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo.
I fastosi ambienti assumono la loro denominazione da Alessandro Farnese, che divenne papa con il nome di Paolo III nel 1534 e volle portare avanti la trasformazione della parte superiore del Castello da fortezza a sfarzosa dimora, con la precisa volontà di rinnovare la grandezza di Roma e del pontefice stesso, oltre alla centralità della Chiesa romana, dopo i guasti e le umiliazioni subiti durante il tragico Sacco della città del 1527. Il papa, uomo colto e innamorato della classicità, oltre alla Sala Paolina – ovvero l’ambiente di rappresentanza, capolavoro del manierismo romano (che in questa occasione è stata completamente reilluminata) – fece decorare le sale più piccole, ma ugualmente preziose, che riaprono in questa occasione con nuovi allestimenti. Per i lavori, portati avanti negli anni quaranta del Cinquecento, il pontefice si servì di diversi artisti, soprattutto dell’abile pittore toscano Piero Buonaccorsi, detto Perin del Vaga, e della sua ampia bottega.
In questa occasione torneranno ad essere visitabili la Sala di Perseo, quella di Amore e Psiche, la Sala dell’Adrianeo, la Sala dei Festoni e la Cagliostra, con i formidabili fregi affrescati che, rifacendosi alle Metamorfosi di Ovidio e all’Asino d’oro di Apuleio, esaltano le virtù di Paolo III e il percorso di elevazione spirituale dell’anima verso la salvezza, oppure mostrano monumenti di Roma antica, festoni e fantasiose grottesche, riportando più volte le imprese e gli emblemi della casa Farnese, il giglio e l’unicorno. Nelle sale di Perseo e di Amore e Psiche sono perfettamente conservati anche i soffitti lignei dipinti, sempre opera di Perin del Vaga e dei suoi collaboratori.
I diversi ambienti ospitano oggi la Quadreria del museo, oltre ad alcune sculture, con un allestimento che segue un criterio cronologico; gran parte delle opere esposte fanno parte di due importanti donazioni, quella di Mario Menotti del 1916 e quella di Alessandro Contini Bonacossi del 1928, e si presentano quindi come provenienti da aree geografiche ed epoche diverse. Tra i dipinti più importanti si segnalano il Polittico degli Zavattari, un esempio notevole di pittura gotica lombarda databile verso la metà del Quattrocento, il San Girolamo nella selva di Lorenzo Lotto, dipinto quando l’artista si trovava a Roma, intorno al 1509, il Bagno di Dosso Dossi, la Giovane donna con unicorno del ravennate Luca Longhi, nella quale è forse riconoscibile Giulia Farnese, sorella di Paolo III, e infine la Madonna col Bambino, angeli e santi della tarda attività di Luca Signorelli. Tra le sculture presenti spiccano il quattrocentesco gruppo ligneo del Compianto sul corpo di Cristo morto e la Pietà in terracotta di ambito emiliano, sempre del XV secolo. Non mancano oggetti rari e preziosi, come la Spinetta, uno strumento musicale di metà Cinquecento decorato con vivaci grottesche.
In occasione della riapertura delle sale, è stata pubblicata anche una guida (De Luca Editori) agli ambienti farnesiani e alle opere esposte, curata dallo storico dell’arte Michele Occhioni.
Castel Sant’Angelo è una struttura molto complessa, utilizzata per secoli con diverse funzioni, nascendo come sepolcro dell’imperatore Adriano, morto nel 138 d.C., per poi diventare residenza fortificata, prigione e infine museo. Per aiutare i visitatori a comprendere meglio questa storia incredibilmente lunga e varia, nelle cosiddette Armerie inferiori è stata allestita un’esposizione didattica permanente, che illustra i continui mutamenti dell’edificio, grazie ad una serie di plastici, realizzati nella prima metà del secolo scorso, numerose stampe antiche, dipinti e fotografie d’epoca.
Anche per questo allestimento è stata pubblicata una guida (De Luca Editori) esplicativa del percorso raccontato nelle stanze delle Armerie inferiori, curata da Michele Occhioni, Mariastella Margozzi, Laura Salerno.
Incastonata fra le suggestive mura del Cortile delle Fucilazioni, ai piedi della imponente mole adrianea, dopo anni di oblio viene finalmente restituita al pubblico la settecentesca Cappella dei Condannati, originariamente un portico adibito a magazzino di polvere da sparo, successivamente trasformato in cappella tra il Settecento e l’Ottocento e più volte rimaneggiato, con l’allestimento di elementi decorativi di spoglio.
Al fine di dotare, finalmente, il Museo di uno spazio polifunzionale per eventi, conferenze, video- proiezioni e didattica è stato accolto il progetto di rifunzionalizzazione della Cappella realizzato dagli architetti Federico Lardera ed Egidio Senatore dello studio larderArch, il cui concept trae la sua origine proprio dal commovente nome della ex Cappella, che rievoca il dramma dei condannati a morte imprigionati a Castel Sant’Angelo.
Il nuovo progetto, che è stato offerto gratuitamente al Museo, è quindi la sintesi di tali antiche cupe atmosfere del Castello e di una serie di citazioni narrative ed artistiche legate al sito, che riemergono, in particolare, attraverso la potenza lirica della celeberrima opera Tosca di Giacomo Puccini, che proprio qui trova la sua più celebre aria E lucevan le stelle ed il suo tragico epilogo.
Lo spazio è stato immaginato come un “tecnologico teatrino”, evocato dai colori dominanti oro e rosso, su cui si stagliano degli inaspettati cilindri acustici, scenograficamente librati tra le campate della Cappella, a riecheggiare i ceri che un tempo accompagnavano le ultime preghiere dei condannati. Nelle cinque vetrate ad arcata trovano posto delle grandi vetrofanie che citano le Carceri d’Invenzione di Piranesi, il grande incisore “ossessionato” dal fascino di Castel Sant’Angelo.
Il nuovo spazio, dotato delle più avanzate strumentazioni audio-video e di una nuova illuminazione architetturale, verrà inaugurato il 12 dicembre 2022 con la prima proiezione pubblica del film I Misteri di Castel Sant’Angelo dell’artista Marco Agostinelli, che ha raccontato attraverso danze e musiche, interpretandole con spirito moderno, storie vere e immaginarie avvenute a Castello, quelle di Beatrice Cenci, di Cagliostro, di Tosca, dell’Arcangelo Michele. Le coreografie sono di Enzo Cosimi, i danzatori sono Alice Raffaelli, Luca Della Corte, Lorenzo Caldarozzi e le musiche di Emanuel Dimas de Melo Pimenta; l’operatore video è Atej Tutta.
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