NORDIC TABLE DESIGN 1900-1970. Una silenziosa rivoluzione femminile

Mostra a cura di Fabia Masciello Casa Museo Hendrik Christian Andersen 4 novembre 2025 – 18 gennaio 2026 La mostra racconta settant’anni di design nordico femminile attraverso una selezione di oggetti per la tavola e analizza il ruolo che designer, artigiane, architette, artiste, imprenditrici, provenienti da Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia, hanno avuto nella trasformazione della società del XX secolo. La sua realizzazione è avvenuta in collaborazione con le Ambasciate di Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia a Roma, e con il supporto del Council of Ministers’ Culture and Art Programme e del Nordisk Kulturfond. Ideata e curata da Fabia Masciello, l’esposizione riunisce centrotrenta pezzi in prestito da musei, archivi, collezioni private e aziende iconiche del Nord Europa, e mette in luce come il design per la tavola sia stato molto più di una questione estetica o funzionale: un campo di sperimentazione di nuovi modelli sociali, di emancipazione e di ridefinizione dei ruoli domestici e familiari. Una rivoluzione, silenziosa ma profonda, portata avanti da queste donne che nel realizzare oggetti belli, funzionali e accessibili a tutti, hanno dimostrato come un semplice gesto quotidiano può essere un atto di libertà e di ribellione. Il loro approccio progettuale è umanista, e coniuga creatività, estetica e funzionalità con empatia verso il fruitore e attenzione ai suoi bisogni reali, alla ritualità e all’inclusività. Aino Aalto, Estrid Ericson, Nora Gulbrandsen, Marianne Westman, Herta Bengtson, Ulla Procopè, Grethe Meyer e molte altre designer, spesso rimaste nell’ombra di colleghi, compagni e mariti con cui hanno lavorato, ci guidano in questo viaggio affascinante in cui gli oggetti riflettono le battaglie culturali e i cambiamenti sociali avvenuti tra l’inizio del Novecento e la fine degli anni Settanta. L’esposizione si articola in quattro sezioni. La prima si apre con la nascita del design democratico nei paesi nordici, agli inizi del Novecento, un periodo in cui le donne — fino ad allora confinate alla sfera domestica — iniziano a reclamare un ruolo attivo nella vita politica e lavorativa. Negli anni Venti e Trenta conquistano visibilità le prime designer, direttrici di dipartimenti nelle fabbriche di porcellana, imprenditrici che, con determinazione, sfidano un contesto lavorativo dominato dagli uomini per portare avanti la propria ricerca creativa, parallelamente alle battaglie per il riconoscimento dei diritti femminili. La seconda sezione racconta il clima di rinascita e ottimismo che caratterizza gli anni Cinquanta, seguito dai cambiamenti del gusto negli anni Sessanta, in un contesto di crescente affermazione di professioniste nel mondo lavorativo del design. La terza sezione esplora le trasformazioni sociali che hanno caratterizzato la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta, un periodo in cui le donne, sempre più divise tra casa e lavoro, iniziano a ridurre il tempo dedicato alle attività domestiche, ridefinendo così ruoli, abitudini e dinamiche familiari. Contemporaneamente, la ribellione agli ideali borghesi favorisce l’emergere di uno stile di vita più libero e informale. Il design della tavola si fa specchio di questi cambiamenti, puntando su una maggiore informalità e valorizzando la convivialità e la socializzazione. La mostra si conclude con un omaggio alle operaie, a quella forza spesso invisibile che, con impegno quotidiano, ha contribuito a costruire non solo oggetti, ma anche storie, valori e identità collettive. Spesso il design è associato all’idea di lusso, status, visibilità. Questa mostra sceglie invece di spostare lo sguardo altrove: su un design silenzioso, necessario e durevole, che abita la quotidianità e la trasforma. Al centro le donne che — partendo dalla tavola, cuore della vita domestica e luogo simbolico di relazione, cura, condivisione — hanno ripensato e riscritto il vivere quotidiano. La mostra sarà accompagnata da un programma di incontri, talk, laboratori e visite guidate. Si ringraziano: Aarikka, Almedhals, Arabia, Artek, Costa Verde, Ellen Keys Strand, FDB Møbler, Figgjo Norway,  Fritz Hansen, Georg Jensen, Grethe Meyer Design, Iittala, Nanna Ditzel Design, Rörstrand, Rörstrand Museum, Svensk Tenn, Telemark Museum. Comunicato stampa

ROMA E L’INVENZIONE DEL CINEMA. Dalle origini al cinema d’autore, 1905–1960. Mostra a Castel Sant’Angelo

Roma, 14 ottobre 2025 – Si è tenuta oggi, a Castel Sant’Angelo, l’anteprima istituzionale della mostra “ROMA E L’INVENZIONE DEL CINEMA. Dalle origini al cinema d’autore, 1905–1960”, inaugurata dal Direttore ad interim del Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei nazionali della città di Roma, Luca Mercuri, e illustrata dal curatore Gian Luca Farinelli, alla presenza del Presidente della Commissione VII Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati Federico Mollicone. L’esposizione sarà aperta al pubblico dal 15 ottobre 2025 al 18 gennaio 2026. Era il 20 settembre 1905 quando, davanti a Porta Pia, la proiezione de La presa di Roma inaugurava la storia del cinema italiano: in quella serata simbolica nacque un’arte nuova, popolare e nazionale, con Roma come protagonista e, allo stesso tempo, scenografia della modernità. A raccontare questo legame indissolubile tra la città eterna e la settima arte sarà la mostra “ROMA E L’INVENZIONE DEL CINEMA. Dalle origini al cinema d’autore, 1905–1960”, allestita a Castel Sant’Angelo e prodotta dal Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei nazionali della città di Roma, istituto del Ministero della Cultura diretto ad interim da Luca Mercuri, insieme alla Cineteca di Bologna, diretta da Gian Luca Farinelli, curatore del progetto espositivo. La mostra è realizzata in collaborazione con la Festa del Cinema di Roma, la Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia e l’Archivio Luce Cinecittà. Castel Sant’Angelo si conferma come spazio capace di accogliere e promuovere il dialogo tra linguaggi e discipline – commenta il Direttore ad interim del Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei nazionali della città di Roma, Luca Mercuri. Questa mostra ci accompagna fino alle origini del cinema e racconta la relazione della settima arte con Roma, città che fin dall’inizio ne è stata protagonista e palcoscenico. È un progetto corale che restituisce al pubblico il fascino di una stagione fondativa della nostra cultura, e lo fa in un luogo che è non solo un monumento iconico della città, ma anche un grande attrattore culturale a livello nazionale e internazionale. Con questa mostra, inaugurata nell’ambito della Festa del Cinema di Roma, celebriamo la storia del cinema italiano e il ruolo di Roma come culla dell’immaginario nazionale. “Roma e l’invenzione del cinema” è un esempio virtuoso di collaborazione istituzionale che restituisce vita alla nostra storia e la rende accessibile alle nuove generazioni, riaffermando il valore universale del cinema come patrimonio condiviso. Ringrazio tutte le istituzioni coinvolte per il loro contributo a questo importante progetto, che grazie alla sinergia con i musei nazionali e la rete degli Istituti Italiani di Cultura estende la vitalità della Festa del Cinema di Roma, rafforzando la diplomazia culturale e la diffusione del cinema italiano nel mondo, afferma il Presidente della Commissione VII Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati Federico Mollicone. Si esprime così il curatore della mostra Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna: «Forse nessuna città al mondo ha così profondamente inciso la propria immagine in quella della Settima Arte, Roma è stata molto più di una location per il cinema italiano (e internazionale), diventando, fin dalle origini, dal primo film, La presa di Roma, protagonista delle opere e della Storia del cinema. I Diva film degli anni 10 e 20 affermano l’immagine di una Roma monumentale, in dialogo con la modernità. Il neorealismo e poi progressivamente grazie alle commedie degli anni 50 e definitivamente, grazie a Fellini e Pasolini, Roma non sarà più solo il suo centro monumentale, ma anche i nuovi quartieri, l’Eur e le borgate. La mostra, attraverso immagini rare e inediti, racconta la storia di una grande relazione, quella tra Roma e il Cinema». Il percorso espositivo accompagna il visitatore attraverso oltre sessant’anni di storia, con materiali rari e inediti: dalle prime dive del cinema muto come Francesca Bertini e Lyda Borelli alle grandi stagioni di Cinecittà, che influenzarono Hollywood, al cinema del Fascismo, con la nascita dell’Istituto Luce, del Centro Sperimentale di Cinematografia e di Cinecittà, al Neorealismo, con le immagini indelebili di Roma città aperta e Ladri di biciclette, che fece conoscere al mondo una nuova Italia, fino alla commedia all’italiana e alla “Hollywood sul Tevere”, che consegnarono Roma al mito internazionale, fino alle invenzioni visionarie di Federico Fellini, che trasformarono Roma in mito universale. Fotografie e frammenti cinematografici restituiscono il dialogo unico tra Roma e il cinema, una relazione che ha saputo trasformare la memoria storica della città in linguaggio moderno e in patrimonio condiviso. Roma, città della storia e dell’immaginario, torna così ad affermarsi come luogo d’origine e cuore pulsante della cultura cinematografica italiana e internazionale, capace di incarnare il passato e il presente, e di diventare specchio e simbolo di un immaginario universale. Se la storia pesa su Roma come su nessun’altra città, il cinema le ha permesso di reinventarsi, di parlare al mondo, di farsi mito contemporaneo. Da La presa di Roma a Fellini, passando per Rossellini, De Sica, Magnani, Sordi, e tanti altri, la mostra racconta come Roma abbia saputo essere – insieme set e protagonista – l’anima del cinema italiano. Comunicato stampa Nell’ordine, da sinistra: Francesca Bertini in Tosca (Alfredo De Antoni, 1918) © Cineteca di Bologna-Fondo Marco Bortolotti Antonio Cifariello, Maurizio Arena e Franco Fabrizi in Racconti romani (Gianni Franciolini, 1955). Via del Tulliano: sulla sinistra l’Arco di Settimio Severo, a destra il Tempio di Saturno al Foro Romano. Foto di Leo Massa / Fondo Reporters Associati / © Archivio Fotografico Cineteca Nazionale – CSC Piero Morgia e Franco Citti in Accattone (Pier Paolo Pasolini, 1961 ). Sullo sfondo, il quartiere Ostiense e il Gazometro. Foto di Angelo Pennoni / Fondo Iannarelli / © Archivio Fotografico Cineteca Nazionale – CSC Anita Ekberg davanti alla Fontana di Trevi sul set di La dolce vita (Federico Fellini, 1960) © Cineteca di Bologna / Reporters Associati & Archivi Marcello Mastroianni e Anita Ekberg sul set di La dolce vita (Federico Fellini, 1960) © Cineteca di Bologna / Reporters Associati & Archivi Sophia Loren e Marcello Mastroianni sul set di Peccato che sia una canaglia (Alessandro Blasetti, 1954) © Luce Cinecittà

Manuela Bedeschi Eutopia

In occasione delle Giornate Europee del Patrimonio 2025, la Casa Museo Hendrik Christian Andersenpresenta la personale di Manuela Bedeschi Eutopia, a cura di Maria Giuseppina Di Monte e Valentina Filamingo. Come prassi consolidata Manuela Bedeschi, artista da sempre impegnata in una ricerca in cui la luce è l’elemento fondamentale e attivo, tangibile e reale, prevalente, se non esclusivo, nelle opere degli ultimi venticinque anni, colloca nei saloni della Casa Museo installazioni luminose come a sottolineare “la nuova potenzialità espressiva e significante connessa al luogo in cui si manifesta con una presenza mai trascurabile. Tale ricollocazione, caricandosi delle energie di ciò che la circonda e delle connotazioni ambientali specifiche, intercetta un ampliamento di senso che la parola in sé stessa già possiede” (Matteo Galbiati). Pensando alle visioni di Hendrik Christian Andersen il cui eclettismo interdisciplinare lo portò a trasformare le idee e i sogni utopici in forme concrete attraverso la materia, Bedeschi ha riflettuto sul fare visionario dell’artista che, pittore e scultore, con il suo lavoro ha fatto da ponte tra un Simbolismo vetero-ottocentesco e le prime forme estetiche rivoluzionarie del primo Novecento. Nelle sue grandi sculture monumentali, i cui corpi ostentano le virtù del nudo eroico classico, Hendrik non afferma solo l’intuizione di una bellezza ideale, ma cerca la testimonianza di un’umanità che rinnova e ritrova sé stessa unendosi nell’arte e nella cultura universali. Con l’utopia urbanistica visionaria della sua Città mondiale, Andersen cercò di sviluppare ancor più concretamente le sue convinzioni grazie a un’architettura capace di ispirare la fraternità universale. Ecco allora che la mostra Eutopia – titolo che trascrive la parola greca opposta a utopia (non luogo) e che significa e identifica, invece, il buon luogo, a intendere un luogo di serenità e di felicità esaudite – per Bedeschi diventa occasione per esporre le installazioni luminose in punti peculiari del museo, costruendo un percorso site-specifc che per la polisemia del linguaggio si interfaccia con la poetica di Hendrik Andersen e con la collezione della Casa Museo. “L’Eutopia di Manuela Bedeschi, il buon luogo può essere vissuto attraverso l’arte, varcando la soglia di casa Andersen” afferma Valentina Filamingo. L’esposizione apre al pubblico durante le Giornate Europee del Patrimonio, il cui tema per l’edizione 2025 è “Architetture: l’arte di costruire”: un invito a riflettere sulle “architetture” immateriali fondamentali come i sistemi di gestione e convivenza, reti di relazioni, pratiche quotidiane, spirituali o professionali, che plasmano in modo invisibile ma concreto il tessuto civile e culturale. E’ quello che le scritte di luce di Manuela Bedeschi tentano di realizzare, in dialogo con le architetture utopiche di Andersen. Come sostiene Maria Giuseppina Di Monte “Le parole luminose sono infatti dei moniti che guidano il visitatore all’approccio con l’arte col luogo e col tempo stratificato del museo. Ci è sembrata la proposta giusta per le giornate europee in cui forse mai come prima il senso di unità pace fratellanza e solidarietà fra i popoli e minacciata e deve quindi essere sostenuta e incoraggiata. Manuela Bedeschi nata a Vicenza, vive e lavora tra Verona e Bagnolo di Lonigo (Vi). Diplomata in Scultura e Pittura presso l’Accademia di Verona, frequenta un corso di Arte Concettuale all’Accademia Estiva di Salisburgo con R. Opalka e G. Uecker che segna fortemente la sua formazione artistica e vari corsi di grafica sperimentale alla Scuola e al Centro Int. di Grafica di Venezia. La sua produzione artistica si è sviluppata sia nel campo della scultura che della pittura, prediligendo sempre più, nel tempo, le installazioni e gli interventi ‘site specific’, sottolineando gli spazi con segni di luce, facendo del neon, un tempo aggiunto ad altri materiali, uno dei suoi principali mezzi espressivi. Presente in collezioni pubbliche e private, espone in Italia ed all’estero. La mostra sarà aperta al pubblico fino 26 ottobre ed è inclusa nel biglietto d’ingresso alla Casa Museo. Comunicato stampa

Antonella Cappuccio Theatrum Mundi

La Casa Museo Boncompagni Ludovisi presenta la personale di Antonella Cappuccio Theatrum Mundi, a cura di Maria Giuseppina Di Monte e Tiziano M. Todi, con la collaborazione di Martina Casadio. La mostra presenta 16 grandi tele dell’artista e scenografa Antonella Cappuccio che ritraggono alcuni dei più celebri e iconici costumi teatrali e cinematografici realizzati dalla Sartoria Farani, storica eccellenza italiana riconosciuta a livello internazionale. L’artista trasforma il costume in protagonista assoluto: non semplice oggetto di scena, ma corpo evocato, presenza viva, memoria incarnata che dialoga con gli ambienti della casa museo Boncompagni Ludovisi. Afferma il curatore Tiziano M. Todi: «Antonella Cappuccio entra in dialogo con questo luogo con un’indagine sulla natura dell’abito, esplorando il costume teatrale come un oggetto vivo, creando un percorso e rendendo i costumi di scena protagonisti assoluti, scollegati dai corpi che li hanno abitati, elementi narrativi autonomi, capaci di evocare identità passate e possibili». Immedesimarsi nel personaggio per raccontarne tutte le sfumature, sembra essere la chiave della pittura di Antonella Cappuccio che dialoga con i costumi e ne restituisce la tensione interna, la storia trattenuta nei dettagli e nelle pieghe, come se quei costumi contenessero anche qualcosa che va oltre la scelta dei soggetti, che non è casuale. Sono infatti costumi che hanno segnato la storia dello spettacolo italiano e internazionale, costumi che hanno reso iconici i personaggi che li hanno indossati, protagonisti di grandi rivoluzioni, testimoni delle tensioni estetiche e sociali di un’epoca. L’allestimento, articolato in più sale, accompagna il visitatore in un percorso dove si intrecciano arte, teatro e memoria, mettendo in luce la relazione tra pittura e artigianato d’eccellenza, tra gesto creativo e corpo scenico. Dichiara la curatrice direttrice della Casa Museo Maria Giuseppina Di Monte «Sono lieta di inaugurare la mia Direzione della Casa Museo Boncompagni con una mostra che lega insieme molteplici fil rouge: costumi e dipinti di Antonella Cappuccio ai quali rispondono gli arredi, le suppellettili e gli abiti esposti nella Casa Museo, luogo pulsante di storia e vita vissuta che nel presente si attualizza per diventare patrimonio delle nuove generazioni».  Antonella Cappuccio, artista e scenografa napoletana, sviluppa fin da giovanissima un percorso autonomo nel disegno, nella pittura e nella sperimentazione materica. La sua ricerca si muove tra il visivo e il poetico, tra rigore tecnico e libertà espressiva. Con una carriera articolata tra mostre personali e collettive, Cappuccio ha esposto in importanti sedi pubbliche e private in Italia e all’estero. Il suo lavoro è segnato da un’intensa relazione con la materia, soprattutto la carta, e da un profondo senso del tempo, della memoria e della spiritualità del gesto artistico. Vive e lavora a Roma. Si ringrazia la Galleria Vittoria, la Sartoria Teatrale Farani e la Fondazione Premio Antonio Biondi. La mostra sarà aperta al pubblico finoo al 30 novembre ed è inclusa nel biglietto d’ingresso alla Casa Museo. Comunicato stampa

Castel Sant’Angelo 1911–1925. L’alba di un museo

Dal 23 settembre 2025 le sale monumentali di Castel Sant’Angelo ospitano la mostra Castel Sant’Angelo 1911–1925. L’alba di un museo, promossa e realizzata dall’istituto del Ministero della Cultura Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei nazionali della città di Roma – diretto ad interim da Luca Mercuri – in occasione del centenario dell’istituzione del Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, avvenuta con Regio Decreto del 4 maggio 1925. Si tratta di una tappa fondamentale nella lunga e complessa storia di questo straordinario edificio, nato come mausoleo imperiale e divenuto, nei secoli, fortificazione, residenza papale, carcere e caserma. La nascita del museo segna il momento in cui il monumento viene restituito a una dimensione prettamente culturale: una istituzione pubblica che, da allora come ancora oggi, si impegna a valorizzare l’edificio e le collezioni che custodisce, rivolgendosi a tutti i pubblici, nazionali e internazionali. Le origini di questo percorso affondano le radici in un altro momento simbolico: l’Esposizione del 1911, allestita proprio a Castel Sant’Angelo in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia. Fu allora che il Castello venne trasformato in spazio espositivo, attraverso una mostra retrospettiva sull’arte italiana dalle origini al presente, che coniugava archeologia, arti figurative, arti decorative, ambientazioni storiche e percorsi tematici. Un’operazione culturale e simbolica che, proprio per la sua ambizione narrativa e sperimentale, contribuì in modo determinante alla riconfigurazione del monumento nel suo nuovo ruolo. La mostra Castel Sant’Angelo 1911–1925. L’alba di un museo si ispira a quello straordinario esperimento, rievocandone in chiave contemporanea atmosfere e suggestioni. Il progetto, ideato dal Direttore ad interim del Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei nazionali della città di Roma, Luca Mercuri, si avvale del contributo di un comitato scientifico composto da Matilde Amaturo, Luigi Gallo, Ilaria Miarelli Mariani e Mario Scalini. “Questa mostra – commenta Luca Mercuri – rappresenta un’occasione preziosa per riscoprire un momento fondativo della storia del Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo e, insieme, per riflettere sul ruolo civile del patrimonio culturale nella costruzione di una memoria condivisa. Concepita come un omaggio all’Esposizione del 1911, l’iniziativa restituisce, in chiave critica e contemporanea, lo spirito sperimentale di quella straordinaria impresa espositiva, capace di coniugare rigore scientifico e impatto narrativo, memoria e innovazione. Il percorso mette in dialogo opere provenienti da importanti musei italiani con materiali straordinari custoditi nei depositi del Castello, alcuni dei quali restaurati per l’occasione e non esposti al pubblico da decenni. Si tratta, dunque, non solo di una mostra, ma di una vera e propria operazione culturale che, grazie anche a prestiti d’eccellenza, restituisce centralità alla funzione pubblica del museo: custodire e al tempo stesso condividere il patrimonio, recuperare il passato per guardare al futuro. Un progetto che parla alla città e a tutti i pubblici, e che rinnova il legame profondo tra Castel Sant’Angelo, la sua storia e la sua vocazione culturale.” L’allestimento si snoda in alcuni degli ambienti più rappresentativi del Castello – dalle Sale di Clemente VIII, alla Sala della Giustizia, fino all’appartamento di Clemente VII e alla magnifica Sala di Apollo. Si comincia con gli acquerelli di Ettore Roesler Franz, provenienti dal Museo di Roma: vedute raffinate che documentano una Roma che stava sparendo sotto le trasformazioni urbanistiche richieste dal suo nuovo ruolo di Capitale del Regno. Spicca poi lo straordinario dipinto di Umberto Prencipe con veduta di Roma nel Quattrocento, dal Museo Boncompagni Ludovisi, concepito proprio per la mostra del 1911: le sue dimensioni monumentali, il chiarore dell’alba che sta per sorgere, il respiro della composizione hanno ispirato il titolo della mostra odierna, L’alba di un museo. Dalla collezione Gorga, anch’essa protagonista della mostra del 1911, emergono certamente i celebri strumenti musicali ma anche oggetti archeologici come una suggestiva stele tardoantica raffigurante un pretoriano. Quest’ultima, insieme alle eccezionali lastre romaniche scolpite, restaurate per l’occasione e restituite dai depositi del Museo delle Civiltà, omaggia la sezione dedicata nel 1911 alla lavorazione del marmo. Notevole è poi la scultura in gesso colorato di Giovanni Prini, con l’incontro tra il pontefice Eugenio IV e il castellano Antonio da Rido, appartenente alla sezione dedicata nel 1911 al racconto dei costumi e degli abiti storici. Spicca poi l’Elia nel deserto dagli Uffizi, opera di Daniele da Volterra, allievo di Michelangelo, che rende omaggio alla sezione “michelangiolesca” del 1911. Dalla Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini proviene la Veduta del Tevere a Castel Sant’Angelo del Vanvitelli, immagine storica che lega il monumento al suo paesaggio urbano, mentre dall’Accademia di San Luca arriva una scultura in terracotta del Giambologna, allegoria di fiume, testimonianza del collezionismo accademico romano. Una sezione specifica è dedicata a Bartolomeo Pinelli, artista che nella Roma dell’Ottocento seppe rappresentare con straordinaria forza visiva i mestieri popolari e le scene di vita quotidiana: le opere esposte si inseriscono in un filone che, nella mostra del 1911, intendeva valorizzare le espressioni dell’arte e della tradizione popolare, documentando il volto più autentico della città. Un grande spazio è dedicato alle armi e armature storiche, in dialogo ideale con la sezione “uomini in arme” del 1911. Accanto a prestiti prestigiosi – come due celate provenienti dal Bargello di Firenze – si segnalano numerose opere restaurate per l’occasione dai depositi del Castello: tra queste, una straordinaria armatura medicea della seconda metà del XVI secolo. L’allestimento restituisce con efficacia la forza espressiva di questi oggetti, che dialogano idealmente con il ritratto di Alfonso I d’Este di Battista Dossi, proveniente dalla Galleria Estense di Modena, figura nota anche per la sua passione per l’artiglieria. Una sezione importante è dedicata a Giovan Battista Piranesi. Le celebri Carceri d’invenzione, realizzate come metafora delle prigioni dell’anima, prendono idealmente ispirazione proprio dalle prigioni storiche di Castel Sant’Angelo. Le stampe, tirate appositamente dalla Regia Calcografia per la mostra del 1911, sono oggi esposte in un allestimento che ne sottolinea il legame con la funzione carceraria del monumento, affiancate da oggetti che ne evocano la storia. Il percorso prosegue con una sezione archeologica, dove incisioni di Piranesi dedicate ai monumenti antichi – tra cui Castel Sant’Angelo – anch’esse stampate dalla Regia Calcografia nel 1911 e conservate nei

GIOVANNI PAOLO II, L’UOMO, IL PAPA, IL SANTO NEGLI SCATTI DI GIANNI GIANSANTI

In occasione dell’Anno Giubilare 2025, Castel Sant’Angelo ospita la mostra “Giovanni Paolo II L’uomo, il Papa, il Santo negli scatti di Gianni Giansanti”: un tributo visivo ed emozionale a uno dei pontefici più amati della storia contemporanea   Roma, 16 luglio 2025 –  Si è tenuta oggi pomeriggio, a Castel Sant’Angelo, l’anteprima istituzionale della mostra GIOVANNI PAOLO II, L’UOMO, IL PAPA, IL SANTO NEGLI SCATTI DI GIANNI GIANSANTI alla presenza del Direttore ad interim di Castel Sant’Angelo Luca Mercuri, del Direttore generale Musei Massimo Osanna, dei curatori Massimo Bray e Ilaria Schiaffini, degli eredi dell’ Archivio Giansanti, di Giorgio Sotira Amministratore Delegato di Civita Mostre e Musei, dell’Ambasciatore della Repubblica di Polonia in Italia Ryszard Schnepf e del Presidente della Commissione VII Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei deputati Federico Mollicone. L’esposizione aprirà al pubblico da domani 17 luglio sino al 30 novembre 2025. Promossa e realizzata dal Ministero della Cultura, Istituto Pantheon e Castel Sant’Angelo –  Direzione Musei nazionali della città di Roma, promossa dalla Presidenza della Commissione Cultura della Camera dei deputati, con il patrocinio della Regione Lazio, delle Ambasciate di Polonia in Italia e presso la Santa Sede, dal Centro di Documentazione e Studio del Pontificato di Giovanni Paolo II – Fondazione Vaticana Giovanni Paolo II e del Pontificio Collegio Polacco, la mostra è organizzata da Castel Sant’Angelo, in collaborazione e con il coordinamento di Civita Mostre e Musei, ideatrice del progetto espositivo con l’Archivio Giansanti, in collaborazione con Rai Teche e con la media partnership di Rai Cultura e TV2000. Il percorso espositivo si sviluppa attraverso l’obiettivo sensibile e potente di Gianni Giansanti, fotografo romano che ha seguito Giovanni Paolo II per decenni, immortalandolo in momenti ufficiali e privati, nella solennità dei viaggi apostolici come nell’intimità del raccoglimento spirituale. Più di 40 fotografie per scoprire uno dei pontefici più amati della storia contemporanea. Le sue foto — vincitrici nel 1988 del prestigioso World Press Photo Award — raccontano con autenticità la straordinaria umanità del Santo Padre, restituendone un ritratto inedito e profondamente toccante. La scelta di Castel Sant’Angelo non è casuale. Monumento simbolico e storicamente legato al Vaticano anche attraverso il celebre Passetto di Borgo, Castel Sant’Angelo rappresenta lo spazio ideale per accogliere una mostra che unisce arte, memoria e spiritualità.Un legame che si rinnova oggi come nel 2000, quando Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo riaprì simbolicamente il cammino tra il Palazzo Apostolico e il mausoleo. Tra le fotografie in esposizione, ce n’è anche una che ritrae il Papa mentre apre la Porta Santa di San Pietro per inaugurare il Grande Giubileo del III Millennio e tra gli oggetti esposti figura anche il suo anello giubilare. La rassegna espositiva accoglie una selezione di immagini curata da Ilaria Schiaffini, Professoressa di Storia della Fotografia della Sapienza Università di Roma. Le fotografie ripercorrono i 27 anni di pontificato di Giovanni Paolo II, dall’elezione al soglio pontificio, all’attentato di Alì Agca, al Giubileo del 2000 fino agli ultimi anni, segnati dalla sofferenza fisica. Gianni Giansanti lo ha seguito nei suoi numerosi viaggio apostolici nel mondo e documenta i suoi incontri con i leader religiosi, i Capi di Stato e le folle di fedeli. Agli aspetti pubblici della vita del pontefice si affiancano quelli privati, compresi i momenti di solitudine e di meditazione. La straordinaria qualità della fotografia di Giansanti, unita alla sua professionalità, convinsero lo staff vaticano a concedergli il privilegio di ritrarre il Pontefice in una intimità fino ad allora impensabile, come nel mezzo della colazione nel Palazzo Apostolico con il cardinale della Corea Stephen Kim.Grazie allo sguardo del fotografo, il Papa emerge come un uomo semplice ed umile e le sue fotografie permettono al pubblico di avvicinarsi con empatia a una delle figure più influenti e carismatiche della contemporaneità.  A corredo della selezione fotografica, è stata allestita nella prima sala dello spazio dell’Armeria Superiore una timeline che, attraverso l’esposizione di preziosissimi oggetti appartenuti al Papa e di video gentilmente concessi da Rai Teche e da Vatican Media, racconta i momenti salienti della vita di Karol Wojtyla, dalla sua formazione, alla nomina cardinalizia, all’elezione a Pontefice, fino alla sua Beatificazione. La parte biografica della mostra, curata da Massimo Bray, Direttore Generale dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, accoglie rari documenti, memorabilia e opere d’arte come la copia firmata della lettera enciclica “Fides et Ratio”, l’inginocchiatoio utilizzato nel periodo da Cardinale, l’abito talare che offrono al visitatore una prospettiva inedita ed essenziale della vita dell’uomo, del Papa, del Santo. “Offrire ai propri pubblici la mostra Giovanni Paolo II, l’uomo, il Papa, il Santo – dichiara il Direttore ad interim Luca Mercuri – significa, per Castel Sant’Angelo, riaffermare la propria vocazione di luogo di memoria e dialogo con il presente. Da sempre ponte tra la Roma dei Cesari e quella dei Papi, tra potere e spiritualità, tra dimensione civile e religiosa della città, Castel Sant’Angelo accoglie oggi un protagonista che ha segnato profondamente il nostro tempo. Giovanni Paolo II, raccontato attraverso lo sguardo di Gianni Giansanti, trova qui una collocazione naturale, continuando a parlare al mondo con un messaggio universale di pace e dignità”.  “La Direzione generale Musei è impegnata nel promuovere una visione del patrimonio culturale come spazio di dialogo, inclusione e riflessione – dichiara il Direttore generale Musei Massimo Osanna. In questo quadro, iniziative come quella ospitata a Castel Sant’Angelo confermano il ruolo dei musei non solo come luoghi di conservazione, ricerca e fruizione, ma anche come presìdi culturali aperti alla contemporaneità. La mostra dedicata a Giovanni Paolo II, attraverso lo sguardo di Gianni Giansanti, offre un’occasione per rileggere una figura che ha segnato la storia recente con un messaggio universale di spiritualità, solidarietà e dialogo tra i popoli”.  “Gli scatti di Gianni Giansanti raccontano alcuni momenti indimenticabili della vita e delle opere di Giovanni Paolo II, testimoniando la portata straordinaria del terzo pontificato più lungo della storia. Fin dall’inizio, il Papa ha voluto proclamare il valore universale del messaggio di Cristo a difesa della libertà individuale, della dignità di ogni essere umano, della sacralità della vita, della necessità dell’ammissione

Helga Vockenhuber CORONA GLORIAE

CORONA GLORIAE è l’installazione dell’artista austriaca Helga Vockenhuber. L’installazione curata da don Umberto Bordoni e dal prof. Giuseppe Cordoni e visibile dal 2 luglio fino al 16 settembre 2025 è promossa dall’istituto Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei nazionali della città di Roma, in collaborazione con l’Ambasciata d’Austria presso la Santa Sede, la Basilica di Santa Maria ad Martyres ed è patrocinata dal Dicastero per l’Evangelizzazione – Giubileo 2025. L’artista austriaca Helga Vockenhuber, ben conosciuta in ambito internazionale, ha presentato nel 2023 un’installazione di forte impatto simbolico presso la Basilica di San Giorgio Maggiore, in concomitanza con la Biennale di Venezia. Il progetto, curato da don Umberto Bordoni e con il supporto del Padre Abbate Stefano Visintin OSB e del Direttore Istituzionale di Abbazia di San Giorgio Maggiore – Benedicti Claustra Onlus, dott. Carmelo A. Grasso viene ora proposto al Pantheon in una veste rinnovata e ripensata in dialogo con lo spazio, secondo un approccio site-specific. Si tratta di una corona di spine, composta da sette sculture in bronzo scomposte che, a partire dalla Passione di Gesù, evocano – nella visione dell’artista – il dramma dell’esistenza umana, riconciliata attraverso il sacrificio di Cristo. Nell’orizzonte della tradizione cristiana, la corona di spine assume il valore di reliquia insigne della Passione: oggetto-simbolo che accompagna il Cristo fino al compimento del suo sacrificio. Collocata zenitalmente sotto l’oculo del Pantheon, la corona metallica diventa memoria immediata della passione di Cristo e del sacrificio dei Martiri, cui è dedicata la Basilica, e insieme è epifania dello spazio sacro cristiano: non un rifugio dai drammi del mondo, ma il grembo della loro redenzione per una vita nuova. I bronzi contorti e acuminati condensano un carico perturbante di sofferenza, che si riflette nello specchio d’acqua su cui poggiano, come sospesi sopra l’abisso. Tuttavia, il cerchio infernale del male è infranto; la corona è spezzata in sette frammenti, un numero significativo nella simbologia biblica. Il dolore non è più ermeticamente serrato, ma aperto, condiviso, tanto da poter essere attraversato. Nel contesto dell’Anno Giubilare, l’installazione di Helga Vockenhuber intende così proporre una riflessione sul linguaggio dell’arte cristiana contemporanea e sulla possibilità, evocata dall’artista, che la Passione salvifica di Cristo continui a rappresentare per l’umanità intera, segnata dalla sofferenza e in cerca di riscatto, l’epifania di una invincibile speranza. Con il sostegno di Sammlung Wemmhöner. Helga Vockenhuber è nata nel 1963 a Mondsee, in Austria. La scultrice focalizza i suoi lavori sulle questioni pregnanti delle religioni mondiali. L’artista abitualmente lavora sulla dimensione intrinsecamente religiosa dell’umano e su quegli spazi liminali di raccoglimento meditativo che ne dischiudono l’accesso. Con le sue opere Helga si propone di rappresentare e trasmettere la dignità dell’uomo e il suo mondo spirituale interiore, evidenziandone l’assoluta singolarità. SCHEDA INFORMATIVA Helga Vockenhuber CORONA GLORIAE Installazione 2 luglio – 16 settembre 2025 a cura di don Umberto Bordoni e del prof. Giuseppe Cordoni Pantheon Piazza della Rotonda – 00186 Roma dms-rm.pantheon@cultura.gov.it Tel +39 06 68300230 L’installazione è inclusa nel biglietto d’ingresso al Pantheon, acquistabile in loco o sul portale Museiitaliani (https://portale.museiitaliani.it/b2c/buyTicketless/33f77159-0acd-40c4-8524-701f33aae108)     Ufficio promozione e comunicazione Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei nazionali della città di Roma dms-rm.comunicazione@cultura.gov.it Helga Vockenhuber www.helgavockenhuber.com

Li Xiaozhu “Rinascite”

Il 2 luglio si apre alla Casa Museo Hendrik Christian Andersen diretta da Maria Giuseppina Di Monte e afferente a Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei Nazionali della città di Roma guidati da Luca Mercuri la mostra personale di Li Xiaozhu “Rinascite”, a cura di Maria Giuseppina Di Monte e Franco Wang. La mostra è organizzata in collaborazione con China Eu Art Foundation. Li Xiaozhu espone oltre venti opere, acrilico su tela di medie dimensioni, dedicate al fiore di loto, molto diffuso e apprezzato dalla cultura orientale. L’artista ha realizzato nel 2024 alcune serie che la Casa Museo Hendrik Christian Andersen espone per la prima volta in Italia, dopo il successo della mostra collettiva della pittura cinese al Museo Macro di Roma dello scorso aprile e un’altra collegata con la Biennale di Venezia nella quale l’artista ha presentato alcune suoi lavori. La compattezza e organicità del progetto è in linea col sapere orientale che predilige la serialità e la sequenza che in questo contesto rappresenta un’esplorazione e ricerca che permette all’artista di viaggiare fra forme, trame, colori molto decisi che vanno dall’azzurro carta da zucchero al verde brillante. Il dialogo col luogo si struttura intorno all’idea di paesaggio fantastico, glaciale o al contrario rigoglioso come nella sottoserie dominata dal verde  “Celestial Music Series” incontrando il genius loci della Casa Andersen, dove la presenza floreale è attuale e vissuta tanto nell’edificio con le sue  linee e decorazioni liberty, stile floreale per eccellenza, quanto negli arredi dell’abitazione dove le ceramiche cinesi contribuiscono a dare all’appartamento quel carattere cosmopolita che tanto piaceva ai padroni di casa. La cifra dell’artista è quella di una sintesi fra astrattismo e figura che Li Xiaozhu abilmente amalgama in una visione surreale nella quale la figura stilizzata a stento emerge dal fondo col quale tende a identificarsi. Una originale interpretazione che surroga paesaggio, figura umana e sperimentazione astratta. Nelle circa venti tele esposte la volontà dell’artista è di entrare in dialogo con la nostra tradizione carpendone gli elementi salienti senza perdere il contatto col proprio vissuto e con l’autentica filosofia che guida da sempre la ricerca orientale. Dice la curatrice, Maria Giuseppina Di Monte “la ricerca buddhista del nirvana, il cui obiettivo è la rinascita, da cui è mutuato il titolo della mostra, rappresenta l’incipit della sequenza espositiva il cui fine è l’illuminazione alla quale l’uomo deve tendere. Niente di più sintonico rispetto alla ricerca artista di Hendrik Andersen che nell’idea di una spiritualità che avvicina l’uomo a Dio perseguendo pace, equilibrio, amore, trova la sua più alta e intrinseca espressione. Il linguaggio di Li Xiaozhu, recupera la tradizione innovandola attraverso la ricerca formale più aggiornata per interpretare il presente”. La Casa Andersen si propone come un punto di riferimento nel perseguire il dialogo fra culture, in particolare fra mondo occidentale e orientale per trovare quel punto di incontro, ovvero le convergenze parallele, che rappresentano la sfida del futuro. SCHEDA INFORMATIVA Titolo: Li Xiaozhu. Rinascite   Sede: Casa Museo Hendrik Christian Andersen, via Pasquale Stanislao Mancini 20, 00196 Roma Ingresso: Intero Euro 6,00; ridotto Euro 2,00; gratuità di legge Il biglietto per la Casa Museo e la Mostra è acquistabile presso il totem digitale (abilitato POS) o su https://portale.museiitaliani.it/b2c/#it/buyTicketless/4e7c2220-041e-42aa-9ffc-e21888df1eff Orari: dal martedì alla domenica ore 9.30 – 19.30; ultimo ingresso ore 18.45. Chiuso il lunedì tel. +39 06 3219089 | dms-rm.museoandersen@cultura.gov.it Sito web: https://direzionemuseiroma.cultura.gov.it/museo-hendrik-christian-andersen/ FB: https://www.facebook.com/CasaMuseoHendrikChristianAndersen/ X: https://x.com/MuseoAndersen IG: https://www.instagram.com/casamuseoandersen/   Ufficio Promozione e Comunicazione Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei nazionali della città di Roma dms-rm.comunicazione@cultura.gov.it

Vincenzo Scolamiero COME SOGNI PERDUTI

Il 12 maggio si apre, alla Casa Museo Hendrik Christian Andersen afferente all’Istituto Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei Nazionali della Città di Roma, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Roma, la mostra personale di Vincenzo Scolamiero, Come sogni perduti, a cura di Maria Giuseppina Di Monte e Roberto Gramiccia. Vincenzo Scolamiero espone sei grandi tele, concepite ad hoc per la Casa Andersen; la mostra s’incentra su due installazioni in perfetta sintonia con il luogo dove l’artista ha disperso le tracce della sua ispirazione: tra zolle, racimoli e frammenti donati dalla natura, con resti di opere incompiute del padrone di casa. Il concetto espositivo è, dunque, parte integrante della mostra, ne segna il tracciato e ne spiega l’intenzione. Non è soltanto un’installazione ma un percorso che entra in dialogo con il sito che Scolamiero vede cristallizzato nel tempo e carico di tracce di vita vissuta e di esperienze creative mosse da una volontà utopica: quella di immaginare una città ideale, sede di un laboratorio perenne in cui l’arte avrebbe dovuto incontrare la scienza, la filosofia, la musica, il pensiero religioso e quello estetico. Il progetto ideale di Hendrik Andersen, che è rimasto inattuato, ha animato la sua fantasia, segnandone la strada espressiva. L’utopia che resta un sogno perduto ma che non smette di emanare la sua forza immaginifica, si è concretizzata nel titolo della mostra, Come sogni perduti, che riporta una frase tratta dalla novella Lenz di Georg Büchner, molto amata da Scolamiero. Una metafora del viaggio folle e allucinato attraverso una natura vertiginosa e ostile. In essa egli riconosce la metafora della condizione dell’artista, inesorabilmente spinto a trovare un compimento della sua creatività, un approdo irrealizzabile e inafferrabile del suo sogno espressivo. Nelle sei tele, disposte come lungo un cammino, trova dunque concretizzazione figurativa ogni suggestione avvertita e vissuta intensamente dal pittore: l’incantevole chimera universalistica di Hendrik Andersen e il fascino di questo tempio utopico ancora intatto e oggi musealizzato, l’evocazione di una lettura che da anni stimola la sua immaginazione, la riflessione sul senso stesso del dipingere e dell’inseguire i propri fantasmi senza pace né tregua. Scrive la curatrice, Maria Giuseppina Di Monte: «Una fantasmagoria di immagini poetiche che prendono spunto dalla natura e la rielaborano attraverso visioni istantanee che danno origine ad altre visioni oniriche; da un segno ne nasce un altro fino a saturare le tele in cui domina il verde e il bruno, colori della terra, molto presenti nelle opere dell’artista che sembrano scaturire proprio da un’orogenesi naturale». Il carattere installativo della mostra si adatta all’ambiente, che nelle opere sembra alternare gli estremi di un sogno malinconico e struggente – la coppia di tele verticali nei due imbotti dell’atrio appaiono come fragili e cristalline cineserie che danno il benvenuto agli ospiti della casa che fu – e quelli di un’immersione a occhi aperti nelle viscere della terra nei quattro dipinti che, sostenuti da strutture di travertino di cava, chiudono il visitatore in un circuito compresso e inquietante. Dall’oro scintillante delle due tele d’ingresso, riacceso in superficie da sventagliate cromatiche rosse e verdi che ne muovono l’aria e ne livellano lo spazio, si passa dunque al folle viaggio attraverso un mondo instabile e misterioso, in cui le forze della natura, pacifiche sul plinto centrale, prendono vita e sconquassano gli animi, al ritmo ondulante delle forme che emergono da un fondo oscuro e ventoso. Non una mostra tradizionale o un’installazione, quella di Scolamiero a Casa Andersen è piuttosto un viaggio tra sogni e utopie, in cui l’arte è insieme ragione e immaginazione, realtà e sogno, sentiero illuminato e burrone profondissimo. Vincenzo Scolamiero è docente di Pittura presso il Dipartimento di Arti Visive dell’Accademia di Belle Arti di Roma, città nella quale vive e lavora. Sue opere sono conservate in importanti collezioni pubbliche e private. La sua prima personale si tiene nel 1987 presso la storica galleria Al Ferro di Cavallo di Roma, a cura di Antonio Alessandro Mercadante. Ha esposto in gallerie private e in rilevanti spazi nazionali e internazionali, tra Roma (Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Palazzo delle Esposizioni, Chiostro del Bramante, Galleria Comunale di Arte Moderna, Macro, Chiostro del Bramante), Milano, Venezia, Bologna, Torino, Rimini, Treviso, New York, Seul, Busan, Pechino, Shanghai, Fenghuang. L’ultima in ordine di tempo (2025) è la mostra Anatomia di un paesaggio-A. Bellobono, L. Coser, G. Frangi, V. Scolamiero a Palazzo Sarcinelli, Conegliano (TV), a cura di Fabio Cosentino e Alberto Dambruoso. Comunicato stampa SCHEDA INFORMATIVA Titolo: Vincenzo Scolamiero. Come sogni perduti Catalogo De Luca Editori d’Arte, contributi di Roberto Gramiccia, Francesca Bottari, Diletta Branchini. Sede: Casa Museo Hendrik Christian Andersen, via Pasquale Stanislao Mancini 20, 00196 Roma Ingresso: Intero Euro 6,00; ridotto Euro 2,00; gratuità di legge Il biglietto per la Casa Museo e la Mostra è acquistabile presso il totem digitale (abilitato POS) o su https://portale.museiitaliani.it/b2c/#it/buyTicketless/4e7c2220-041e-42aa-9ffc-e21888df1eff Orari: dal martedì alla domenica ore 9.30 – 19.30; ultimo ingresso ore 18.45. Chiuso il lunedì tel. +39 06 3219089 | dms-rm.museoandersen@cultura.gov.it Sito web: direzionemuseiroma.cultura.gov.it/museo-hendrik-christian-andersen/ FB: www.facebook.com/CasaMuseoHendrikChristianAndersen/ X: x.com/MuseoAndersen IG: www.instagram.com/casamuseoandersen/ Ufficio Promozione e Comunicazione Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei nazionali della città di Roma dms-rm.comunicazione@cultura.gov.it Ufficio stampa Roberta Melasecca_Melasecca PressOffice – blowart roberta.melasecca@gmail.com – info@melaseccapressoffice.it tel. 3494945612 cartella stampa su www.melaseccapressoffice.it

Femminilità. 6 artisti per la Casa Museo di Hendrik Andersen

Dall’8 marzo al 2 maggio 2025 la Casa Museo Hendrik Christian Andersen afferente all’istituto Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei Nazionali della città di Roma ospiterà la collettiva “Femminilità. 6 artisti per la Casa Museo di Hendrik Andersen”. L’esposizione, curata da Maria Giuseppina Di Monte, si collega idealmente ad una precedente realizzata tra il 2016 e il 2017 alla Casa Museo Hendrik Andersen dal titolo “Femminile e femminino. Donne a casa Andersen”. In quel caso la mostra prendeva spunto dal ruolo esercitato dalle donne della famiglia Andersen: da Olivia, cognata dell’artista a Lucia, sua sorella adottiva, e soprattutto dalla madre Helene, fulcro e punto di riferimento del gruppo familiare, per una indagine attraverso le opere di Hendrik alla ricerca di quello spirito androgino che appare intrinseco alla sua produzione. Le sale del museo ospitano ora, a distanza di quasi dieci anni, i lavori di diversi artisti, donne e uomini provenienti da culture e nazioni diverse, accumunati da una sensibilità che richiama quella stessa “androginia dello spirito”. Sei gli artisti in mostra – Salome Rigvava, Sara Basta, Dario Carratta, Winna Go, Kawita Vatanajyankur, Tang Shuo  –  che nei loro lavori hanno utilizzato diverse tecniche. Si va dal tradizionale olio su tela, come in Salome Rigvava, Winna Go e Tang Shuo, alle tecniche più sperimentali che utilizzano materiali quali tessuti o combinazioni di oggetti come nel caso di Sara Basta, o anche video e performance usati da Kawita Vatanajyankur. La curatrice della mostra, Maria Giuseppina Di Monte afferma: “La varietà dei materiali, le apparenti incongruenze e le atmosfere che ogni opera evoca offrono spunti di riflessione sulla femminilità e sul suo ruolo come elemento chiave per riscoprire un senso più autentico della convivenza. Un’opportunità per valorizzare la differenza come terreno di dialogo e fonte di arricchimento reciproco”. La mostra è realizzata in collaborazione con Studio 11 Gallery. Comunicato stampa