La scoperta del design: lo scrittoio Bugatti

a cura di Martina Casadio Carlo Bugatti (1856-1940) è una delle figure più singolari e innovative nella storia del design. Artista, designer e artigiano, Bugatti ha dato vita a creazioni uniche che combinano influenze orientali, arabe e giapponesi con uno stile modernista del tutto personale. Le sue opere non solo sfidano le convenzioni estetiche, ma trasformano il mobile in una vera e propria opera d’arte. In un’epoca in cui il design seguiva regole rigide, Bugatti ha portato avanti una visione coraggiosa, esotica e sperimentale che ancora oggi influenza l’estetica degli arredi. Nato nel 1856, proveniva da una famiglia di artisti e artigiani. Studiò Belle Arti a Milano e poi a Parigi, dove si avvicinò a tendenze artistiche che avrebbero profondamente influenzato il suo stile. La sua formazione spaziava dall’architettura alla pittura, ma fu nel design di mobili che trovò la sua vera vocazione. Nonostante fosse immerso nella cultura occidentale, Bugatti si distaccò dai canoni classici cercando ispirazione nell’arte orientale e nelle forme organiche e allontanandosi così dagli stili decorativi della sua epoca. Per Carlo Bugatti i mobili non erano semplici oggetti d’uso quotidiano ma opere d’arte autonome. La sua visione era quella di creare pezzi che avessero una propria identità estetica, capaci di evocare atmosfere lontane e mondi esotici. Questo approccio ha contribuito a rendere i suoi arredi oggetti di culto per i collezionisti e ha segnato una svolta nell’idea stessa di design, trasformandolo in un’esperienza artistica. Lo Scrittoio per signora con sedia (1890) rappresenta un esempio perfetto dell’arte di Bugatti. Qui l’artista ripropone alcune soluzioni stilistiche già utilizzate in altri suoi scrittoi, arricchendolo però con una decorazione unica. Di dimensioni contenute, lo scrittoio spicca per i dettagli finemente curati e l’eccezionale precisione esecutiva, oltre che per la varietà dei materiali impiegati: la struttura in legno ebanizzato è impreziosita da rivestimenti in pergamena e inserti in rame sbalzato, peltro e osso, mentre la sedia si caratterizza per originali elementi in corda. Acquisito nel 2023 dal Ministero della Cultura su segnalazione dell’Ufficio Esportazioni di Genova, costituisce un ingresso di grandissimo prestigio per le collezioni del Museo Boncompagni Ludovisi. Bibliografia S. Simi, Carlo Bugatti (1856-1940): una fantasia architettonica nella produzione dei mobili, in “Arte/Documento, Rivista di Storia e Tutela dei Beni Culturali”, n. 4, Electa, Milano 1990, pp. 178-183. I. De Guttry, M. P. Maino, Il mobile liberty italiano, Laterza, Roma, 1983.
Roma 1911: il paesaggio urbano di Umberto Prencipe

a cura di Martina Casadio La “Grande veduta di Roma” di Umberto Prencipe (Napoli, 1879 – Roma, 1962) conservata al Museo Boncompagni Ludovisi è un’opera che stupisce e attrae molti visitatori. Il suo formato fuori dal comune (cm 450 x 310) domina la sala dedicata a Modernismo e Decò e colpisce per la particolarità del soggetto: il dipinto guarda il sorgere del sole dallo scomparso convento dell’Ara Coeli. Al centro la Torre dei Conti e il Tempio di Minerva, a destra il Colosseo, la Torre delle Milizie in primo piano circondata da rovine e ruderi insoliti e sullo sfondo il colle di San Pietro in Vincoli. Dove sono le chiese e gli edifici moderni? Quale città sta guardando Prencipe? Di sicuro non la Roma di inizio ‘900 ma una Roma del passato: il soggetto infatti non è dipinto dal vivo ma è tratto da un disegno della fine del 1400 di un un taccuino di viaggio molto celebre, il cosiddetto Codice Escurialense (1490 circa) così chiamato perché parte delle raccolte dell’Escorial. Il volumetto, attribuito quasi certamente alla cerchia dell’architetto fiorentino Giuliano da Sangallo, è molto eterogeneo e contiene studi di celebri sculture antiche e rilievi, vasi, ornamenti e architetture, vedute e schizzi panoramici. Il risultato è una sintesi di quanto si poteva ancora ammirare dell’antica Roma tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. Prencipe copia il disegno e lo ingrandisce con il sistema della quadrettatura per renderlo un’opera maestosa e ferma nel tempo. Ecco perciò spiegata la sua unicità: una Roma antica, vista con gli occhi di un viaggiatore rinascimentale e riproposta in un momento di grande fervore archeologico e rinascita della città come capitale di un Regno d’Italia finalmente unito geograficamente e culturalmente. Nel 1911 Prencipe viene infatti chiamato a realizzare una serie di panorami e vedute per la Mostra retrospettiva di Topografia Romana di Castel Sant’Angelo per le celebrazioni per il cinquantenario dell’Unità nazionale. Bibliografia G. Bedini, Paesaggi del Novecento, paesaggi d’oggi: le opere di Umberto Prencipe e i mutamenti dell’immagine della città, 2015 in “Luk”, N.S. 20.2014, Lucca, 2015, pp. 14-18. F. Pirani, Umberto Prencipe: visioni di Roma alla mostra del cinquantenario dell’Unità d’Italia, 2009, in “Umberto Prencipe 1879-1962. Realtà e visione”, Palombi, Roma, 2009, pp. 31-40.
Il drago del papa: storia dello stemma Boncompagni

a cura di Martina Casadio Nella storia della cultura occidentale lo stemma è uno dei pochi esempi di linguaggio figurato. Formalmente composto da uno scudo su cui vengono posate figure, nasce come segno di riconoscimento e si trasforma nel tempo in simbolo di prestigio e marchio di proprietà. Scolpito su palazzi, fontane, chiese e porte di accesso alle città o inciso su argenti e suppellettili, indica possesso, diritto di giurisdizione e di dominio, trasmettendosi di padre in figlio come rappresentazione tangibile di coesione e continuità. Roma racconta la sua storia attraverso i numerosi stemmi che si stagliano su monumenti di ogni tipo, a sottolineare il ruolo dei mecenati e committenti più illuminati, cardinali, papi o principi che fossero. Papa Gregorio XIII Boncompagni è tra questi: tra i massimi protagonisti del XVI secolo, fu docente di diritto all’Università di Bologna e colto giurista nei difficili anni della Riforma luterana. Il suo stemma gentilizio, il drago, divise protestanti e cattolici: i primi lo giudicavano la rappresentazione dell’Anticristo (come scritto nell’Apocalisse), i secondi l’animale fantastico che veglia sui destini del mondo. Secondo gli studi più accreditati di araldica il drago Boncompagni deriverebbe dalla discendenza della famiglia dai Dragoni dell’Umbria, il cui stemma presentava tre mezzi draghi dorati. Quando si originò il ramo bolognese dei Boncompagni si mantenne un solo drago, mentre il legame con i Ludovisi sul finire del XVII secolo vi introdusse le note bande d’oro oblique sullo sfondo. Da sempre associato ad un significato negativo perchè ritenuto una creatura generata da un serpente che ne ha divorato un altro, il “drago del papa”, ad osservarlo bene, presenta un dettaglio tutt’altro che trascurabile: una coda mozzata. Giacomo Boncompagni, figlio di Ugo Boncompagni prima divenire papa, in occasione della salita al soglio pontificio del padre aveva ingaggiato alcuni iconografi e letterati del tempo per creare il giusto emblema e dare una connotazione positiva al drago. La mancanza della coda, dove si riteneva venisse conservato il veleno della feroce creatura, lo rendeva perciò innocuo. Il Museo Boncompagni Ludovisi ricorda lo stemma di papa Gregorio XIII in molti dettagli architettonici (portone d’ingresso, finestre, fontane e pitture della grande volta del salone delle vedute), pittorici e decorativi. Tra i più interessanti ricordiamo i molti draghi presenti nel Ritratto di Gregorio XIII colto nell’atto di redigere il famoso calendario gregoriano o il Mappamondo seicentesco del celebre incisore di Strasburgo Matthäus Greuter personalizzato e dedicato all’illustre famiglia. Bibliografia V. Filamingo, Storia e arredi originali in “Museo Boncompagni Ludovisi per le arti decorative, il costume e la moda dei secoli XIX e XX: guida breve”, Editoriale Artemide, Roma, 2018, pp. 21-31. G. Zamagni, Il valore del simbolo, Il Ponte Vecchio, Cesena, 2003.
Presentazione del libro d’artista LENTE CAREZZE

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la Casa Museo Hendrik Christian Andersen presenta al pubblico il libro d’artista LENTE CAREZZE, a cura di Laura Anfuso e Lucia Sforza. Il libro affronta con rispetto e delicatezza il tema del femminicidio e vuole essere uno spunto per soffermarsi sulla fragilità e sulla cura che essa esige. Le parole di Laura Anfuso rimandano ad un forte senso di sorellanza, all’urgenza di abbracciare la solitudine con la tenerezza che il dolore nasconde e diventano, nell’interpretazione sensibile di Lucia Sforza, lacrime e ferite che è impossibile ignorare. La presentazione si terrà lunedì 25 novembre alle ore 16.30 (ingresso fino a esaurimento posti).